La tutela dell’ambiente: intervista a Chicco Testa

Oggi il tema ambientale è al centro dell’attenzione mondiale ma è un argomento che coinvolge, soprattutto in questo momento, l’attenzione dei giovani come me. Ma non ci si può fermare solo al grido di protesta che emerge nelle piazze reali e virtuali di tutto il mondo. È per questo che ho contattato un esperto nel settore: l’attuale presidente di FederAmbiente Chicco Testa, al quale ho posto alcune domande per aprire una finestra verso altri pensieri nel mondo degli adulti.

Chicco Testa, lei ha una lunga esperienza sulle tematiche ambientali ed energetiche. Oggi è d’attualità il tema del cambiamento climatico. Recentemente, attorno alla figura di Greta Thunberg, si è condensata la voce di chi, tra cui moltissimi miei coetanei, ritiene che ormai siamo sull’orlo di una catastrofe ambientale senza precedenti. Qual è la sua opinione al riguardo?

È giusto che si diffonda consapevolezza sulle problematiche ambientali, ma è sbagliato seguire le sirene dei professionisti dell’allarmismo. Primo perché deformano la realtà e secondo perché non contribuiscono a ragionare in modo pragmatico sulle soluzioni. Le quali in molti casi ci vengono fornite dall’innovazione tecnologica. Un esempio? Al Gore dava l’allarme “Tra 5 o 6 anni la calotta di ghiaccio del Polo Nord potrebbe scomparire completamente”. Era nel 2009.

Lei è stato Presidente di Legambiente in passato. E anche parlamentare e dirigente di importanti aziende. Nel mondo dei “potenti”, dei decisori politici, delle grandi aziende qual è il livello reale di sensibilità sulle tematiche ambientali? È vero che il profitto viene sempre prima e comunque?

Aumentano le aziende che abbracciano una strategia di crescita in cui la variabile ecologica ha un peso rilevante e non solo per adeguarsi alle norme ambientali sempre più stringenti, ma perché da un punto di vista del business sono i consumatori, il mercato in generale, che lo chiedono. E che premiano appunto quelle che fanno scelte sostenibili. Non si tratta più semplicemente di greenwashing, semplice cosmesi di comunicazione, ma di scelte consapevoli prese nei consigli di amministrazione.

Oggi lei rappresenta come Presidente FederAmbiente il settore dei rifiuti. Ogni attività umana, infatti, produce un impatto sull’ambiente. Ma i rifiuti sono talvolta pericolosi, pensiamo alla plastica che finisce spesso in mare. Quale messaggio vuole dare ai ragazzi della mia età per aumentare la consapevolezza sulla gestione di questo importante aspetto della nostra vita?

Innanzitutto, non fermate il vostro sguardo al cassonetto. È dopo che viene il “pezzo forte” della filiera di recupero e smaltimento. Non abboccate all’utopia del “zero rifiuti” perché impossibile, a meno di tornare indietro alla civiltà contadina di 120 anni fa. Riciclo innanzitutto, il 65% dei rifiuti urbani, secondo quanto prevede l’UE entro il 2035; mentre il 25% finisce in impianti moderni di smaltimento dai quali si ricava energia e un 10% si avvia verso la discarica. Eh sì, ancora. Non è possibile eliminarle completamente. All’estero in modo abbastanza diffuso e in alcuni comuni virtuosi italiani ci riescono. Allora perché non in tutta Italia?

C’è molta confusione oggi tra notizie che hanno un qualche fondamento scientifico e informazioni non verificate, le cosiddette “fake news”. Nel caso delle tematiche ambientali e climatiche, quanto questo fenomeno delle fake news è secondo lei presente?

Sì, come negli altri ambiti. E sarà tanto maggiore quanto la nuova frontiera è ora il deep fake, software molto avanzati che permettono la sostituzione dei volti e delle voci di un video in modo iperrealistico.

Cosa si può fare per combatterlo?

Allenare il pensiero critico. Oggi a differenza di quando ero ragazzo che si guardava un solo canale tv, in casa arrivava un solo giornale, voi avete la possibilità di confrontarvi con molte fonti di informazioni: andate oltre la bacheca di quello che vi suggerisce l’algoritmo di Facebook; altrimenti rimarrete intrappolati in una bolla delle notizie, dei commenti che più si avvicinano alle vostre convinzioni.

Secondo me si parla poco o per lo meno non in modo compiuto e scientifico di ambiente a scuola. Cosa potrebbe fare la scuola italiana, i nostri professori, per dare un contributo alle tematiche ambientali?

Organizzare per esempio una visita a un impianto di trattamento delle acque, una discarica, una centrale elettrica, o una fabbrica di bioplastica, per esempio. Solo per avere un piccolissimo assaggio delle tecnologie, della ricerca nei processi produttivi che si ispirano al concetto di tutela dell’ambiente.

Giulio Muscio

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